L’immagine è da sempre la mia porta preferenziale per interpretare le situazioni. I miei occhi sono allenati a cogliere un’emozione o un contesto, più velocemente di quanto l’esplorazione tramite il linguaggio possa fare. Il pensiero visivo è il mio superpotere ed è un strumento indispensabile per conoscere l’ambiente. Fotografo i luoghi, le pagine di un libro, la posizione degli oggetti, ricordo i colori o le inquadrature delle scene di un film. In questo modo scopro, apprendo, insegno.
Per questo motivo mi sono avvicinata alla fotografia, timidamente, senza conoscenze tecniche (e senza averle mai apprese appieno!) ma con la necessità di “catturare” l’attimo, l’immagine, l’emozione…
…e a questo punto devo svelarvi un segreto…
Lo sapete di possedere fin dalla nascita un super potere: il pensiero visivo
Con l’espressione pensiero visivo ci si riferisce alla capacità di trarre più facilmente significati dalle immagini. Una skill più o meno innata in ognuno di noi. Una sorta di “sesto senso” che tutti possediamo fin da bambini, ma che si perde crescendo e quindi va allenato.
Il pensiero visivo estende notevolmente la capacità di comprensione e di sintesi. Facilita anche la presentazione di idee, quando le parole non bastano. Basti pensare che l’80% del cervello è progettato per assimilare ed elaborare le immagini, quindi richiede meno sforzo rispetto alla lettura di un testo.
“Se vi viene chiesto di leggere un libro, la prima domanda che farete è: quanto è lungo?
Mentre se vi viene chiesto di guardare un’immagine nessun di voi domanderà: quanto è grande?”
Prossima fermata: visual literacy
La nostra cultura è diventata oramai non più una cultura scritta ma una cultura basata sul pensiero visivo, perchè guardiamo più che leggere e la stessa parola è diventata visiva. Non abbiamo perso il modo di scrivere, ma abbiamo cambiato il modo di scrivere, cioè abbiamo iniziato a scrivere in modo visivo.
Un fenomeno particolarmente interessante sono le “emoji”, ormai diventate un vero e proprio Esperanto digitale che permette addirittura di comunicare senza conoscere la lingua dell’interlocutore: certo, non è ancora possibile fare discorsi molto complessi, né tantomeno intrattenere conversazioni “ufficiali”, ma le “emoji” sono diventate così di uso comune che esiste un’enciclopedia interamente dedicata a loro (Emojipedia.org) e che ogni 17 luglio vengono celebrate con il World Emoji Day.
Il nuovo Esperanto: le emoji
Nel 1999 compaiono le prime forme di messaggio iconico per mano di Shigetaka Kurita, un grafico giapponese che ha ideato un set di 176 pittogrammi. Oggi questo set è ospitato al MOMA, il Museo di Arte Moderna di New York.
Le emoji sono il segnale del tempo, pregne di significati culturali e figl* della modernità. I simboli raccontano l’emersione di nuovi temi e di nuove necessità comunicative.
La cultura delle emoji travalica gli “Standard” per trovare declinazioni locali e personali come per esempio la Svezia per raccontare i propri elementi culturali più rappresentativi (swemojis.com).
Un altro esempio interessante è quello realizzato dall’illustratrice Irina Mir. L’artista russa durante un periodo particolarmente difficile decise di realizzare Sad Animations. Questa raccolta di personaggi animati rappresenta una varietà di sentimenti ed esperienze difficili, dall’esaurimento nervoso, all’ansia sociale, fino alla bulimia nervosa. L’opera nasce un po’ come terapia d’urto, un po’ per la necessità di rappresentare degli stati d’animo che non trovavano riescono nelle emoji standard.
L’uso delle emoji come linguaggio visivo
Si tratta di un sistema di segni che, proprio come un linguaggio, abilita la comunicazione tra due – o più – individui. A differenza dei linguaggi verbali, non hanno una propria grammatica e una traslitterazione in suoni. Sono esperienze prettamente visive, sono una espressione della cultura digitale.
L’uso delle emoji ha una valenza emotiva, capace di dare un contesto emozionale ad una conversazione scritta sopperendo così all’espressione paraverbale. Uno studio condotto dalla Australian Catholic University ha dimostrato che di fronte a smiley e a sorrisi reali il cervello reagisce ormai allo stesso modo. L’uso delle emoji nella comunicazione scritta aiuta a chiarire l’intenzione del messaggio, a specificare in una singola immagine l’emozione che si prova o che si vuole suscitare nel lettore. Il desiderio di esprimere una emozione è uno dei fattori che ha determinato la proliferazione delle icone nella comunicazione interpersonale a livello globale. Uno studio del 2016 (di Barbieri) ha dimostrato che il significato di una emoji rimane abbastanza costante anche attraverso diverse lingue e diversi canali. E questo dimostrerebbe come la natura visuale delle emoji lo renda un linguaggio indipendente (Shoeb – De Melo, 2020).
La relazione tra linguaggio, emoji ed emozioni è oggetto di studio da parte di diverse discipline: dalla linguistica alla psicologia, alla NLP – Natural Language Processing, fino al machine learning. L’interesse è proprio quello di indagare quale sia la connotazione di un linguaggio così universale e quale portata abbia in termini comunicativi. Basti pensare che nel 2015 l’Oxford Dictionaries hanno dichiarato che l’emoji “faccia che ride con le lacrime” fosse la parola dell’anno.
Come ogni linguaggio, è disponibile un’enciclopedia chiamata Emojipedia che consente di navigare il mondo dei pittogrammi seguendo degli ordini di raggruppamenti tematici e logici.
Ci sono anche diversi esperimenti in campo letterario e pubblicitario per provare a creare una vera e propria grammatica delle emoji.
Il primissimo esperimento era stato Alice nel paese delle meraviglie da parte del designer Joe Hale, seguito dal progetto di traduzione di Moby Dick.
Seguito a ruota dall’Emojitaliano – una vera e propria grammatica ideata da un gruppo di ricercatori capitanato dalla linguista Francesca Chiusaroli.
L’innovazione italiana è quella di produrre un glossario e di adottare un linguaggio il più universale possibile, ampliando i confini della lettura de Le avventure di Pinocchio senza implicare riferimenti fonetici della lingua italiana.
E infine in ambito cinematografico, negli ultimi anni sono proliferati anche sperimenti ludici per indovinare l’associazione delle emoji ai titoli dei film.