Imparare la lingua dei dati

Imparare la lingua dei dati significa saper leggere, comprendere, creare e comunicare i dati come informazioni. Proprio come l’alfabetizzazione come concetto generale, l’alfabetizzazione dei dati si concentra sulle competenze coinvolte nel lavoro con i dati.

La tecnologia ci ha permesso di scoprire la complessità del mondo in cui viviamo, ci ha permesso di conoscere cosa accade vicino e lontano da noi, ci ha messo, nostro malgrado, di fronte alla diversità . Tutto ciò è possibile grazie a 2 cose: da un lato gli strumenti, che consentono potenzialmente a chiunque di fare qualsiasi cosa (democratizzazione), dall’altro l’informazione, il carburante che nutre e fa muovere/progredire gli strumenti. Quest’ultima è diventata sempre più fluida, pervasiva, incontrollata, ambigua. La materia di cui è fatta è simile a quella del cyborg T-1000 di Terminator, fatto di un metallo liquido e indistruttibile che può prendere le sembianze che vuole. L’informazione nello stesso modo non muore, riesce a sopravvivere , si adegua al contesto, si trasforma.

Cyborg T-1000

Mi piace pensare all’informazione come ad un essere vivente e indipendente, e il suo status si è evoluto insieme allo strumento che le permette di muoversi, generarsi, trasformarsi…cioè la tecnologia.

Imparare la lingua dei dati

Come donna ed essere umano, sento urgente la necessità di comprendere meglio come interagire con essa (ormai quasi di più che con la tecnologia). Spesso mi sento vulnerabile nei suoi confronti, consapevole che quando si presenta sotto forma di notizia non ho tutti gli elementi per valutarla. Alle volte il mio cervello attiva dei bias cognitivi, delle distorsioni automatiche per normalizzarne il suo contenuto e renderlo più accettabile. Spesso vorrei conoscerla di più per avere tutti gli elementi per trattare un fenomeno con competenza ed esaustività e invece mi trovo in affanno a cercar la verità.

Per questo motivo ho deciso di imparare una nuova lingua: lingua dei dati (o Data Literacy). E’ un percorso che ho iniziato a settembre insieme al team di Dataninja e che mi ha aperto un mondo. Un mondo del quale ero solo in parte a conoscenza: nel mio lavoro di marketer, infatti, ho sempre cercato di usare le informazioni come base per definire strategie o raccontare storie di brand avvincenti (e convincenti).

Il mondo che ho scoperto durante questo percorso è più vasto, più ricco, più affascinante e nel contempo più complesso di quanto conoscevo. E mi piace! Mi piace perchè mi rende consapevole sia dei limiti che delle possibilità che ho, perchè mi rende indipendente nel giudicare un fenomeno senza essere presa dal panico e dalla frustrazione (proprio come quando ci si trova in un luogo dove parlano una lingua che non capiamo).

I pericoli della falsa percezione

Ipsos dal 2012 ha attivato una ricerca sui pericoli della percezione conducendo interviste in 40 paesi (The perils of perception), esplorando il divario tra le percezioni delle persone e la realtà. Nel sito ci sono diverse ricerche (dalla percezione della morte, alla percezione sul cambiamento climatico e molto altro), i risultati sono allarmanti e purtroppo l’Italia non è messa molto bene… (la grafica si riferisce ad una ricerca condotta da Ipsos nel 2016-2017)

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Perchè le persone nel mondo sono cosi spesso allo scuro della verità? Ipsos individua 5 ragioni che influenzano una cattiva percezione e che entrano in gioco a vari livelli influenzandosi o interagendo tra di loro.

Ipsos - The Ignorance Equation

E’ evidente come da un lato pesa molto il fatto che molti di noi sono in lotta continua con i numeri, spesso traballanti sui concetti matematici chiave per stimare la realtà (e qui un plauso a tutte le campagne per promuovere nei giovanə lo studio delle materie STEM!!). Ci sono però anche altri elementi che influenzano l’equazione della cattiva percezione (o più brutalmente The Ignorance Equation, come la definisce Ipsos).

Andiamo con ordine:

Dopo i numeri arrivano i pregiudizi, i bias e le euristiche, scorciatoie mentali che ci aiutano a trovare risposte semplici e soddisfacenti – anche se non si adattano perfettamente alla domanda – di fronte a situazioni complesse e sovraccariche di informazioni. Su questo punto avrò modo di approfondire in futuro, nel frattempo se non l’avete mai letto vi consiglio il libro di Francesca Vecchioni “Pregiudizi Inconsapevoli”

Soffriamo, inoltre, di quello che gli psicologi definiscono “emotional innumeracy”, che potremmo tradurre con ignoranza numerica legata alle emozioni. Questo ci porta a dare la risposta che più si avvicina al nostro livello di preoccupazione su un tema. In questo caso la nostra preoccupazione potrebbe generare false percezioni tanto quanto le nostre percezioni errate potrebbero nutrire la nostra preoccupazione.

Nell’equazione in oggetto i media giocano un ruolo importante nel formare percezioni errate. Ma dobbiamo stare attenti. L’importanza di un media di spingere o meno una notizia attraverso titoli che schiacciano l’occhiolino ad una parte specifica dell’opinione è indubbia, ma il vero driver è il modo in cui noi leggiamo e ricordiamo le informazioni!!

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  • Infine, Ipsos suggerisce che la nostra incapacità di percepire correttamente la realtà è legata al contesto politico intorno a noi (direi Amen!). Non siamo motivati ad informarci, con tutti i costi di tempo e fatica che comporta farlo, se non possiamo influenzare nulla attraverso un sistema politico dove il voto individuale non conta praticamente nulla. Questo può sembrare estremo, ma lo rende vitale. Forse le persone si dimostrerebbero meno stupide e più informate, se avessero la consapevolezza di poter cambiare le cose!

Attiviamoci!

Tornando a noi, se non vogliamo subire l’informazione generando percezioni falsate della realtà e aumentando il nostro senso di malessere e frustrazione. Se vogliamo avere una chance di cambiare le cose o quantomeno comprendere il perchè di quello che accade, allora è necessario cambiare attitudine e disporci positivamente verso lo studio della lingua dei dati.

Ma nel concreto in cosa consiste? Non preoccupatevi non significa tirare fuori i libri di statistica sui quali abbiamo passato tante notti insonni. Certo dobbiamo mettere in conto che alcuni concetti base di matematica dovremo rispolverarli…ma vi giuro che dopo starete molto meglio!

Data Literacy è la capacità di leggere, capire, creare e comunicare le informazioni, dunque la capacità di conferire significato ai dati, di interpretarli correttamente e di raccontare un fenomeno mediante i dati, selezionando in maniera opportuna le informazioni più rilevanti. Per far questo è necessario sapere dove i dati si possono trovare e come valutare se una fonte è attendibile, capirne il loro significato (imparare la sintassi dei dati) e poi raccontarli (o rappresentali).

Esistono molti contenuti online che vi permettono di iniziare questo percorso, il mio suggerimento (anzi direi il saggio suggerimento che ho ricevuto dalla coach Nadia Panigada!) è di trovare un punto di riferimento che vi può iniziare al tema, guidare e assistere in questo percorso. Identificate un ecosistema di riferimento, un ente, un’associazione, un gruppo o un canale, questo vi permetterà di confrontarvi con vostri pari ogni qual volta avrete un dubbio.

Ricordate:

Without data, you’re just another person with an opinion.
W. Edwards Deming

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